Premessa (“Perché non sappiamo prendere i fondi europei”)

Questo scritto è rivolto a chi ritiene che le politiche pubbliche siano importanti per il futuro dei nostri figli e che una pubblica amministrazione ben funzionante sia l’infrastruttura fondamentale per la competitività e lo sviluppo di una comunità.

Non sono più solo le fredde statistiche ad evidenziare la scarsa qualità della nostra spesa pubblica e dei nostri servizi pubblici rispetto gli altri paesi occidentali che, come noi, affrontano la competizione globale da buoni livelli di partenza. Ormai i divari sono percepibili ad occhio nudo da chiunque viaggi per studio, lavoro o diletto, una platea sempre più ampia anche grazie ad Erasmus, Ryanair, AIRBnB & co.

La nostra macchina politica ed amministrativa è stata disegnata nel dopoguerra e si è adattata in un epoca di robusta crescita quando una certa inefficienza ed inefficacia della spesa pubblica era tollerabile, come ora nei paesi in fase di deciso sviluppo. La competizione tra i paesi più ricchi rende però sempre più pesante ed intollerabile la zavorra rappresentata da politiche pubbliche scadenti, come nelle imprese impegnate sui mercati internazionali sono ormai anche i piccoli margini di efficienza a determinarne la competitività o meno.

Lo scontento della pubblica opinione si rivolge perlopiù alla classe o alla “casta” politica e questa d’altra parte non fa mai mancare continui episodi di mala gestione della “cassa comune” se non di corruzione, per alimentare la giusta indignazione dei cittadini.

Questo scritto però è rivolto a chi vuole capire un po’ più da vicino i meccanismi che formano la spesa pubblica italiana, spesso indipendenti dalla parte politica che governa al momento e dai suoi interessi elettorali, anche legittimi, ma spesso di corto respiro. Il pretesto è una analisi dei problemi e dei ritardi che l’Italia dimostra irriducibilmente, da quasi 50 anni, nello “spendere i fondi europei”.

La gestione dei fondi europei, infatti, dovrebbe essere una imperdibile occasione per confrontare i meccanismi che producono la spesa pubblica italiana con quelli degli altri paesi europei, considerando che le regole sono ormai molto omogenee, adottando le migliori pratiche sviluppate dagli Stati nostri competitori per ammodernare la nostra organizzazione amministrativa.

Ad una qualsiasi azienda privata non parrebbe vero potere “spiare” come funzionano le aziende concorrenti e copiare le soluzioni che possono rendere più efficiente ed efficace il proprio processo produttivo. Nessuno mai in Italia ha invece pensato di utilizzare l’esperienza della gestione dei fondi europei per importare “buona burocrazia” dagli altri paesi, anzi spesso reagiamo con uno dei nostri altrimenti rari, soprassalti di lesa sovranità quando le istituzioni europee ci consigliano e poi ci obbligano ad adottare delle minime regole di sana gestione finanziaria.

D’altra parte per la maggiore parte degli italiani l’idea stessa di una “buona burocrazia” appare una contraddizione in termini (a meno di non pensare alla Svizzera).

Questo scritto non ha l’ambizione di essere uno studio comparativo sulle pubbliche amministrazioni europee, ma vorrebbe accompagnare il lettore ad affrontare i meccanismi reali con cui in Italia è spesa la “cassa comune”, non solo quella europea, nell’intento di coinvolgere un pubblico più vasto dei soli addetti ai lavori.

A tal fine si è cercato di evitare per quanto possibile i tecnicismi, anche a costo di qualche approssimazione che sicuramente farà alzare le sopracciglia agli addetti alla liturgia dei Fondi Europei, preferendo ricorrere ad esempi ed aneddoti. Se si è riusciti a trattare con leggerezza ed ironia questi argomenti solitamente riservati ad una cerchia ristretta, gran parte del merito si deve ai preziosi consigli degli amici che non praticano tali culti esoterici.

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