13. Conclusioni (da “Perché non sappiamo prendere i fondi europei”)

Si sente spesso dire che “non sappiamo spendere i Fondi europei”. In verità il bilancio europeo prevede di rimborsare spese già sostenute dagli Stati, per un certo ammontare ed entro tempi predefiniti ed inderogabili, al fine di rinforzare alcune politiche ritenute di interesse comune per tutta l’Europa.

La domanda corretta da porsi è “perché non sappiamo prendere i Fondi Europei?” e la risposta corretta da darsi e “perché non sappiamo spendere le risorse pubbliche”, soprattutto appena non si tratta più di pagare stipendi o comunicazione. Se sapessimo spendere bene i fondi pubblici, anche italiani, per fare buoni investimenti in innovazione, efficienza energetica, mobilità sostenibile, occupabilità, etc. sarebbe facile farci rimborsare un po’ di progetti realizzati dall’Europa.

In verità i programmi cofinanziati dai Fondi Strutturali spendono molto più velocemente e soprattutto realizzano nei tempi molte più cose, rispetto a quelli finanziati solo da risorse nazionali o regionali, pur ricorrendo a qualche trucco. Il clamore sui “ritardi nella spesa dei Fondi Europei” è dovuto solo al fatto che le Istituzioni Europee ci obbligano a fornire i dati di avanzamento della spesa dei programmi cofinanziati, per cui i ritardi salgono alla ribalta della pubblica opinione.

A ben vedere, infatti, siamo lentissimi a realizzare qualsiasi investimento pubblico, indipendentemente dalla fonte di finanziamento, ed in particolare nella fase in cui, trovati faticosamente le risorse, si deve decidere cosa e come fare. Nei paesi normali infatti c’è una programmazione ordinaria che già stabilisce cosa e come fare, quando arrivano i finanziamenti, europei o meno, c’è solo da passare all’azione ed aumentare ciò che si fa normalmente. Anche quando cambiano le maggioranze politiche non si riparte ogni volta da zero come da noi, più semplicemente certi programmi vengono accelerati ed altri rallentati adattandosi al nuovo indirizzo politico.

Da noi invece la programmazione dei Fondi Strutturali, risorse straordinarie che però ormai abbiamo da 50 anni, è un mondo a parte rispetto le modalità con cui si gestiscono le altre risorse pubbliche. Se per queste ultime spesso si preparano degli elenchi frutto di instabili equilibri politici e privi di una logica razionale, per la Programmazione Europea esageriamo al contrario. Per il ciclo 2014-2020 ci siamo scritti interi faldoni di impegni che ci erano richiesti solo in parte.

Il problema è che trattando i Fondi Strutturali come stanziamenti invece che come rimborsi, si suscitano gli appetiti di una quantità enorme di centri di spesa che si vogliono ritagliare la loro fettina di soldi pubblici. Se i Fondi Strutturali fossero intesi come entrate dei bilanci pubblici le scelte sarebbero più semplici: si finanzierebbero quei programmi che hanno progetti avviati e pronti e quelle organizzazioni che hanno dato prova di spendere bene e finire i progetti.

Invece che cogliere l’occasione per adattare i nostri normali meccanismi di spesa pubblica agli standard europei e dei paesi occidentali, abbiamo creato delle strutture parallele appositamente per i soli Fondi Strutturali che sono sostanzialmente avulse rispetto il resto della Pubblica Amministrazione in cui le scadenze continuano ad essere un optional, così come la cultura dei risultati, dei controlli ed il rispetto delle regole della concorrenza.

Probabilmente la programmazione è estranea alla nostra cultura, mancherebbero quei colpi di scena che appassionano la nostra immaginazione collettiva, in un mondo ordinato e strutturato non servono uomini della provvidenza.

Così facendo però non abbiamo reso permeabili i programmi finanziati dai Fondi Strutturali con quelli finanziati da risorse nazionali, l’unico modo per ottenere velocemente e per intero i rimborsi che ci spettano dal bilancio Europeo perché è inevitabile che ci sia una certa mortalità nei progetti e quindi gli importi effettivamente spesi e rimborsabili saranno sempre meno degli stanziamenti iniziali.

Soprattutto abbiamo perso l’opportunità di adottare meccanismi di spesa pubblica più efficienti ed efficaci ispirandoci, anche per le nostre risorse, ai modelli di trasparenza e stabilità richiesti dall’Europa, come hanno fatto la Spagna e più di recente i paesi dell’est L’effetto leva delle risorse del bilancio europeo, infatti, non è stato certo minore in Italia ed in Grecia, paesi che però non hanno “occidentalizzato” la loro spesa pubblica e dove i divari di sviluppo sono rimasti circa gli stessi di prima.

Appare probabile pertanto che la riduzione del divario di sviluppo della Spagna e dei paesi dell’est con gli Stati europei più ricchi, sia dovuta più all’effetto indiretto dell’efficentamento della intera spesa pubblica prodotto dalla programmazione europea, piuttosto che per il solo effetto quantitativo delle risorse europee come leva dell’ammontare degli investimenti pubblici.

La buona notizia e che nella nostra Pubblica Amministrazione esistono, anche se spesso sparpagliate e poco riconosciute e riconoscibili, persone ed organizzazioni che hanno imparato ad amministrare la spesa pubblica in modo efficiente ed efficace, confrontandosi con quello che fanno i paesi nostri concorrenti ed in linea con gli standard occidentali.

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