L’oggetto principale dei controlli previsti per la spesa dei Fondi Europei riguarda il rispetto delle regole di origine comunitaria, in materia di concorrenza.
L’Europa è nata anzitutto come un mercato comune in cui le imprese devono essere libere di competere, senza essere svantaggiate né avvantaggiate dall’uno o dall’altro Stato membro dell’Unione. La libertà di concorrenza tra le imprese è ritenuta in Europa e dal mondo occidentale, un modo per spingerle ad innovare e rimanere competitive sui mercati globali ma anche una politica per offrire ai consumatori beni e servizi sempre migliori ai prezzi più bassi ed una opportunità, per chi lo merita, di lavorare e prosperare.
Il diritto della concorrenza è un architrave dell’architettura giuridica europea, per i motivi storici ed economici di cui sopra ma anche perché, in mancanza, gli Stati membri si farebbero (ancora più) concorrenza sleale tra loro.
Tale diritto è articolato nei tre rami dei contratti pubblici (libertà delle imprese di aggiudicarsi gli appalti in altri Stati membri), aiuti di Stato (limiti al sostegno che uno Stato membro può dare alle sue imprese) ed antitrust (limiti al dominio di un imprese in un mercato, se ciò ostacola la libertà di scelta dei consumatori e le possibilità delle altre imprese di emergere).
In Italia la libertà di concorrenza non è sentita come un diritto fondamentale, come nei paesi anglosassoni, ma lo sta diventando nelle leggi essendo un pilastro del diritto dell’Unione Europea.
Al vostro scriba è stato raccontato che quando le regole degli appalti sono state spiegate al Presidente di uno stato balcanico che aveva fatto richiesta di entrare nell’Unione, questi ha esclamato “ma allora io come faccio a dare gli appalti agli amici che mi hanno votato e fatto votare?”.
Rispettare le regole degli appalti è la grande difficoltà che spesso si imputa all’Unione Europea quando si sente dire che le regole sui Fondi Strutturali sono troppo complicate, spesso i nostri politici non hanno la medesima franchezza del Presidente dello Stato balcanico, ma la pensano allo stesso modo. L’Italia però è uno dei paesi fondatori dell’Unione e dopo mezzo secolo sarebbe ora di farsene una ragione (o studiare delle alternative serie, per esempio diventare uno degli Stati maggiormente sviluppati dell’Africa?).
Siamo però un po’ tutti noi italiani, non solo i politici, che non amiamo tanto il concetto di “vinca il migliore!”. Lo dimostra il referendum sull’ “acqua pubblica” che in verità era un referendum sull’ “idraulico privato” perché abbiamo abrogato l’obbligo di mettere a gara la manutenzione della nostra rete di acqua pubblica, cercando di spendere il meno possibile (anche il Vostro scriba ha votato come la maggioranza dei suoi concittadini, ma perché non si fidava che una macchina pubblica dedita a socializzare le perdite e privatizzare i profitti diventasse improvvisamente capace di trovare l’idraulico che avesse il minor costo per la cassa comune).
Come si è detto però qualcosa sta cambiando, l’unificazione dell’Autorità Anticorruzione con quella che vigila sugli appalti pubblici sembra un segnale forte di come l’applicazione dei principi di non discriminazione e trasparenza da parte della Pubblica Amministrazione possano essere finalmente intesi come il più naturale e più efficace antidoto alla corruzione.
C’è da sperare che pian piano si diffonda anche nell’opinione pubblica l’idea che la violazione delle regole della concorrenza non solo si presta a ruberie ed, in definitiva, ad aumentare le tasse per acquistare prodotti e servizi peggiori e più cari con la cassa comune, ma impedisce anche l’affermarsi delle imprese più dinamiche e giovani e che, pertanto, possono risultare più competitive sui mercati di domani e dare più lavoro qualificato ai nostri figli.
Nello “spendere” i Fondi Strutturali la concorrenza non va intesa solo tra imprese che si aggiudicano un appalto o un aiuto o un corso di formazione, ovvero la realizzazione di un progetto finanziato; per l’Europa la concorrenza dovrebbe riguardare anche i progetti stessi da finanziare tramite selezioni competitive e trasparenti.
Già da una quindicina d’anni il nostro ordinamento prevedrebbe che i progetti per concorrere a dei finanziamenti pubblici, dovrebbero essere dotati di uno Studio di Fattibilità (“SDF”) o da una Analisi Costi e Benefici (“ABC”). Questi studi non solo dovrebbero determinare come è meglio realizzare una determinata “cosa” ma anche se questa cosa è utile o meno alla comunità e, infine ma non per ultimo, “quanto” è utile.
Il Vostro scriba ha usato il condizionale perché nella sua non brevissima esperienza raramente ha visto degli SDF o delle ABC. Gli interventi da finanziare arrivano già belli e confezionati, ritenuti utili a prescindere da qualsiasi analisi, che dovrebbe pure considerare come fare a sostenerne i costi di gestione e se una parte può essere a carico degli utenti. Il diritto amministrativo si ingegna così a creare selezioni trasparenti ma la competizione si basa sul nulla, mancando gli studi che consentono di comparare i risultati, o, nel migliore dei casi, sul buon senso.
Poiché le regole dei Fondi Strutturali prevedono che l’analisi ABC sia obbligatoria per i progetti sopra i 50 mil. di Euro, abbiamo trovato una soluzione semplice: i progetti sopra i 50 mil. non li facciamo più, così evitiamo la scocciatura di dovere pure dimostrare che siano utili.
Per pochi poi la concorrenza dovrebbe esserci anche tra le organizzazioni e le persone che gestiscono i fondi pubblici al fine di valorizzarne il merito e le capacità ma anche di riutilizzare i metodi che hanno dato buoni risultati.
Se in generale è però difficile, in mancanza di dati pluriennali affidabili, individuare chi ha ben gestito un processo (o procedimento) di spesa, nel caso dei Fondi Strutturali questi dati ci sono. Eppure analizzare queste informazioni per individuare i processi che hanno ben funzionato e chi li ha ben gestito in passato, non è una usanza radicata nel nostro paese. Probabilmente rischia di ridurre l’attenzione per le elezioni politiche, ormai simili a dei concorsi di bellezza.