FASI.biz, luglio 2014
Le Istituzioni europee sono nate per sviluppare un mercato interno comune in un’epoca dove l’economia era molto meno globalizzata dell’attuale. Non c’è quindi da meravigliarsi che le istituzioni, le persone che le costituiscono e la cultura che esprimono, si siano evolute in una sorta di “corpo di polizia” impegnata soprattutto nel verificare che gli Stati membri non favoriscano le proprie imprese a discapito delle altre.
La debole crescita dell’Europa e competitor internazionali molto più pragmatici nell’applicare i paradigmi liberisti (BRICS ma anche gli U.S.A. che quando si è trattato di salvare il settore finanziario e automobilistico se né sono infischiati del loro iperliberismo), richiedono una revisione della missione delle Istituzioni Europee più orientata alla crescita. Si tratta ovviamente di un percorso complesso e travagliato, pieno di resistenze e il cui approdo, come ci insegna la storia, sarà una sintesi che non assomiglierà a nulla di già visto.
Bisognerebbe anzitutto comprendere che dei mutamenti sono già in atto e che chi vuole guidare questo cambiamento, come converrebbe senz’altro all’Italia, deve lavorare sulle frontiere, cogliere le novità e semmai potenziarle. Non si guida nessun cambiamento guardando nello specchietto retrovisore.
Non sembra, ad esempio, che l’Italia stia cogliendo tutte le potenzialità che già oggi ci offrono i nuovi aiuti di Stato ed il quadro logico della programmazione 2014-2020, potenzialità senz’altro nascoste in una normativa sempre più complessa e che le stesse Istituzioni Europee non sanno ben valorizzare sotto il profilo comunicativo.
Mi riferisco in particolare alla nuova categoria degli aiuti al rischio, che consentono di “condividere i rischi” con il capitale privato nel sostenere pressoché tutti gli investimenti ritenuti utili per la crescita. Tale categoria è una evoluzione degli aiuti al capitale di rischio delle PMI (art. 21 nuovo Regolamento Generale di Esenzione) che però si applica anche ai programmi di riqualificazione urbana (art. 16 RGE), ai progetti ed alle infrastrutture di ricerca e sviluppo (art.26 RGE), alle reti telematiche (art. 52 RGE), ai progetti energetici (art. 39 RGE), ai porti ed agli aeroporti (considerando 1 RGE), arrivando a coprire anche gli impianti sportivi (art. 55 RGE) e i progetti culturali (art. 53 RGE) di più significativa dimensione e, più in generale, tutte le infrastrutture materiali ed immateriali (art. 56 REGE) potenzialmente in grado di autofinanziarsi, almeno in parte.
Mentre gli altri aiuti di Stato “tradizionali” sono leciti in percentuale su determinate spese ammissibili – di norma le più inoffensive rispetto la concorrenza e perciò di utilità mai dimostrata – gli aiuti al rischio sono leciti nella misura in cui il capitale privato altrimenti non realizzerebbe gli investimenti desiderati, misura da determinarsi mediante procedure competitive e quindi, per definizione, sempre di interesse dei mercati.
E’ un campo di azione difficile, che richiede un amministrazione pubblica capace di investire, nel senso aziendale del termine e non più solo a fondo perduto, ma che ha un potenziale enorme che non sembra in Italia sia stato compreso. Questa è infatti l’opportunità che ci offre l’Europa per intervenire nel quasi-mercato, tutto quell’enorme campo che il mercato non affronta in autonomia ed allo stesso tempo non è nemmeno costituito da progetti pubblici tradizionali, affatto auto-sostenibili.
Un campo che comprende i servizi di interesse economico generale, una nuova urbanistica orientata al profitto e non alla rendita (quella necessaria a riqualificare le nostre città senza nuovo consumo di territorio che è l’unica strategia realistica per il rilancio del settore edile) e, trasversalmente, lo sviluppo dei mercati dei capitali diversi dal credito bancario, più adatti a sostenere progetti e imprese innovative (Relazione annuale 2013 B. d’Italia capitolo “l’innovazione”, Raccomandazione del Consiglio Europeo sul PNR 2013, n. 3).
La regolamentazione dei fondi Strutturali e di Investimento Europei prevede persino degli incentivi per gli Stati capaci di usare strumenti finanziari e le partnership pubbliche e private, consentendo un minore cofinanziamento a carico dei bilanci pubblici nazionali e di sostituire detti apporti finanziari con apporti in natura o di capitali privati (artt. 120(5) e (7), 64, 69(3)(b) e 120(2)(a) del Regolamento generale).
Altri paesi, in particolare il Regno Unito, già da tempo sanno cogliere tali opportunità ma anche la Spagna, il Portogallo, l’Ungheria e la Polonia stanno utilizzando i margini di flessibilità che già oggi l’Europa ci offre. Piange il cuore vedere il mio paese eliminato dal Costarica ai mondiali, piange ancora di più, però, vederlo chiedere nuove flessibilità di spesa in Europa quando altri paesi cogliono le occasioni che già ci sono per stimolare gli investimenti minimizzando la spesa pubblica.